Novecento

And the ocean loved her back by AlexandraSophie@DeviantArt

And the ocean loved her back
by AlexandraSophie@DeviantArt

Questo breve racconto non mi è “capitato fra le mani”, come spesso si sente dire a proposito di Novecento. Lo sono andato a cercare. Le maniche rimboccate, aggrappato con una mano alla scala della libreria e l’altra mano protesa a scorrere i volumi, ragno a cinque dita su una tela di titoli e parole. Ero sicuro di averlo, un po’ meno di averlo già letto. E quando l’ho rivisto, la copertina dell’edizione economica Feltrinelli, la mente è tornata in un sol balzo a tutta una serie di emozioni, vecchie mosche prese in questa piccola tela di Baricco. Avevo già letto questo testo, ma troppi anni fa. A volte arriviamo troppo presto, giungiamo in anticipo, rispetto a un libro. Dopo un’ora il nostro incontro poteva dirsi esaurito. Lo scambio, questa volta, era avvenuto in sincronia.

Scrivere di questo testo è molto difficile. O forse è difficile per me, dato che mi ostino a volerne portare a galla il livello che ritengo più profondo. Tanto difficile da tenere nel mirino che non sono sicuro nemmeno di saper tracciare un confine fra l’intuizione e il vaneggiamento. Rischio di sparare cazzate, forse; vado a naso, convinto a proseguire su una traccia che avverto svolgersi lungo tutto l’arco di questo romanzo.

Danny Boodman T.D. Lemon Novecento viene messo da Baricco in una situazione scomoda. E’ l’obiettivo ideale per ogni sorta di attacco da parte dell’uomo moderno (egomaniaco, iperattivo nell’inconcludenza, moralmente imperialista) : la sua immobilità è facilmente scambiata per codardia, il suo silenzio per debolezza, le sue scelte considerate bizzarrie insensate. Eppure resiste. Resta fermo lì, per tutto il racconto, fisso al centro di se stesso come un muto scoglio di pietra ben piantato nel fondale limaccioso del mare, inamovibile persino dalle tempeste più violente. Noto una certa identità fra Novecento e la nave che lo ospita per tutta l’esistenza, dalla quale non scenderà mai. E questo pare ribadire il concetto di fermezza e risolutezza del protagonista, egli “è” la nave che non abbandonerà mai. Si rafforza così il senso di un’integrità, ben delineata, che rappresenta un costante contrasto con l’immensità informe delle masse oceaniche. Novecento è una nave, è un individuo, alle prese con le moltitudini della vita, onda dopo onda sospinte dai venti e dalle correnti del tempo. E’ isolato nell’oceano, ma ne è inseparabile e compartecipe. Come ognuno di noi.

Il suo coraggio sta nella scelta. Egli sceglie se stesso, lo fa rinunciando all’indeterminatezza degli innumerevoli particolari che compongono la realtà. Decide di non perdersi nel labirinto delle esplorazioni umane, ma si rende comunque permeabile alle realtà a lui narrate dai viaggiatori della sua stessa nave. Conosce per sentito dire e ciò gli basta per saziare, esaurire, ogni capitolo dello scibile. Questo personaggio non ha nulla di speciale, eppure proprio così appare, in virtù della sua limitatezza spensierata e della pacifica, serena ordinarietà di cui fa sfoggio a mento alto. Certo, è un mago del pianoforte, ma noi tutti siamo maghi in qualcosa, anche meno sensazionale. Questo è un particolare per rendere il racconto un po’ più romantico, più teatrale…

Qualcosa scatta, quando si legge Novecento. Un tumulto sommerso si agita in noi, ci scompone. Ci turba. Credo sia doveroso, a questo punto, allargare il campo visivo con il quale si guarda a questo testo: come sovente accade, un’opera, d’improvviso, cessa di essere quell’opera, per diventare un’altra cosa. Accade per esempio nell’impressionismo, prendete Monet. Sono le irregolarità a definire precise emozioni di spaesamento e meraviglia. Sono miopia, diplopia, confusione luminosa, a delineare, anziché sfocare. Perché? Semplice. Perché Monet non ha creato qualcosa cui noi reagiamo con un’emozione, ma ha richiamato un’emozione che ci fa reagire. Un’emozione nostra, già presente in noi. Forse ancora avvolta nel cellophane. Ma già nostra.

E Baricco fa leva su questa emozione condivisa da noi tutti, la intercetta, laggiù in mezzo all’oceano, la prende al volo e ce la mostra: è il coraggio di vivere secondo se stessi. Ci viene mostrato un individuo capace di essere tale, un giovane uomo che fronteggia il senso di nulla, di vuoto, che può creare l’infinito oceanico. Non vi è spaesamento in lui, nossignore, bensì fermezza, ancora fermezza e fermezza. L’integrità che Hemingway decantava tanto! Eccola qua, fotografata in poche pagine, quasi inosservabile. La monotonia del suo viaggio, ossessivamente ripetitivo, america/europa, è la caricatura iperbolica della monotonia delle vite normali: l’esistenza è sterminata eppure viaggiamo lungo una sola strada, un solo binario. La vastità dell’esistenza è un inganno se la si ricerca al di fuori di sé, diviene un mero problema di scala: a qualsiasi livello sopraggiungono insoddisfazione e desiderio di novità. Nel tragitto in auto per l’ufficio o in mezzo all’oceano, da un continente all’altro, ovunque e sempre.

L’infinito si compie dentro di noi, può esser racchiuso in un pensiero, liquidato con una scrollata di spalle o contemplato in silenzio. “Ciò che non ha fine” è nostra diretta pertinenza, è nostra giurisdizione. Non è nelle cose, è nelle persone, è una sensazione collettiva, un tratto genomico dello spirito, comune a tutti. E’ l’effetto di questa sensazione su ognuno di noi, a rendere inusufruibile il concetto di infinito, a renderlo inafferrabile e spaventoso. Troppe reazioni differenti a una condizione irrinunciabile dell’umano; ci si perde nella folla, non si riconosce più la propria strada. Tutto appare relativo oltre misura, ci schiaccia un vuoto insostenibile.
Anneghiamo nell’oceano, noi che oceano siamo.
Novecento no, lui navigherà ancora.

Novecento, Alessandro Baricco, 1994
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