Solomon Gursky è stato qui

Solomon Gursky è stato qui…
…e guarda caso è tutto raso al suolo!

Gli ingredienti delle nostre vite sono spesso insostituibili. Senza un determinato istante o una precisa notte; senza quello sguardo, proprio quello, lungo una scalinata; senza il ricordo di un’uscita imbarazzante nel mezzo di un pranzo di natale, la dolcezza di una partita a carte con quel baro esperto della nonna; senza la memoria del corpo, che tutto fa tornare alla mente, ma niente fa tornare nelle mani; senza il sale di una lacrima, che sembra mare uscito da chissà dove, le nostre vite sarebbero un’unica vita, una pietanza insapore, e non esisterebbero volti diversi e diverse storie per ognuno di noi.
Le storie.
Non quelle che vi tira la/il fidanzatina/o di turno, prima della prossima/o fidanzatina/o di turno e di quella/o dopo ancora, e via così; non le panzane estratte dal cilindro per giustificare l’ennesimo accesso di pigrizia cosmica.
No. Le storie belle, che è bello raccontare, che è bello stare ad ascoltare, con i gomiti appoggiati al tavolo e le mani sotto il mento.
Le storie, che poi sono tutto ciò per cui è valso parlare, scrivere. Vivere.

Mordecai Richler era forte, era bravo.
Ab illo tempore lessi “La versione di Barney” con un gusto carnascesco, sghignazzando e battendo i piedi, emettendo suoni gutturali e, sul finale, applaudendo, battendomi pugni sul petto come un gorilla, o un ultrà di qualche squadra di serie C.
Mordecai Richler era davvero, davvero bravo.

Quando l’amico M.B. mi passò, una sera di qualche mese fa, questo simpatico mattoncino di 600 pagine, detti automaticamente la precedenza ad altri due testi, che sommati mi avrebbero occupato al confronto un terzo del tempo. Più che pigrizia, si trattava del fatto che volevo essere dell’umore adeguato, ben sapendo che Richler scriveva per divertire e, spesso, per amareggiare. Mi occorreva il giusto humus emotivo…
Una volta iniziato, con tutta l’attenzione che richiede un così denso ed intrecciato romanzo, dichiarai solennemente a me stesso che Mordecai Richler era bravo due volte, anzi, bravo alla seconda: non solo un eccellente scrittore, un cesellatore di sorprese, mistero e umorismo, capace di intagliare perfette forme narrative, ma soprattutto in grado di riempire quelle forme con storie divertenti, appassionanti, coinvolgenti, mirabolanti, deliziose.

“Solomon Gursky è stato qui” è buono da leggere per due ragioni, dà piacere vederne la storia evolversi e dà piacere passare con gli occhi su quella bravura di tornitore.
Sebbene sia incontestabilmente una grande opera, questo testo necessita di molta attenzione. Avete presente l’opera lirica, alla cui melodia in evoluzione si sommano parole declinate su note musicali, raffiguranti nel loro insieme una storia? Presente quando non ci si capisce più niente, si getta il libretto alle spalle e si inizia a dormire, russando in fianco a qualche signora elegante, munita addirittura di elegante binocolo da teatro? Il rischio è quello.

Ad esempio, mia madre non potrebbe mai leggere questo libro! Perché, fra le varie complessità, è farcito di lessico yiddish, lingua giudaica, orribile da pronunciare e quasi impossibile da ricomporre mentalmente mentre la si legge, da tante consonanti contiene. E mia madre non le sopporta queste cose.
Questa, però, non è una peculiarità di M. Richler. Nient’affatto. Anche se non posso assolutamente definirmi esperto in materia e quindi azzardare generalizzazioni, la mia esperienza mi porta ad affermare che gli scrittori ebrei si divertono a infestare i loro romanzi di yiddish (leggete Auslander…a proposito, Irene te lo devo restituire!). E’ un loro divertimento. Forse non possono farne a meno. D’altra parte la religione ebraica, al pari di quella araba o forse più, permea l’intera vita del credente, che egli vi sia renitente od ortodosso. Non si scappa.

Come se non bastasse, la storia abbraccia due secoli e cinque generazioni di una famiglia ebrea arrivata misteriosamente dal circolo polare artico al cuore del Canada, partendo forse dalla Russia, forse dall’Australia o dal Sud Africa! Occorre guidare con prudenza e rispettare i limiti di velocità, altrimenti il bellissimo paesaggio letterario su cui si staglia questa storia meravigliosa vi passerà di fianco senza lasciarvi lo stupore che ha lasciato a me.

Il vizio, la passione, lo strapotere fine a se stesso, il cinismo, il sarcasmo, i fallimenti e le vittorie senza rivincita, l’omicidio, il sesso sfrenato, le caricature del tipico ebreo e del tipico capitalista, oggetti misteriosi, varie performance sentimentali di dubbia moralità; il Canada del 1800 e il Canada del 1980, il proibizionismo, il volo misterioso di un corvo attraverso i secoli, il cannibalismo, la corruzione, il lusso immane e l’avarizia più incancrenita, la menzogna sfacciata, la truffa, il santone e l’usuraio, il talento della gazza ladra e l’operosità muta del somaro, la rabbia, l’invidia e la generosità che non alza la voce.
Il tutto amalgamato alla perfezione, in una complessissima ricetta fatta sobbollire per più di 500 pagine, tenendovi all’oscuro di tante, tante cose.

Questo romanzo è esagerato. Esagerato. Questo romanzo è una bomba! Ti rapisce, ti strega, lo assorbi esattamente coi gomiti sul tavolo e le mani sotto il mento, non puoi fare a meno delle sue pagine e mentre stai facendo qualcos’altro ci pensi, pensi che è a casa che t’aspetta e ti godi già quelle ore di immersione stralunata.
A patto che tu vada con calma e giochi d’astuzia: non metterti a gareggiare con la fantasia di Mr. Richler, o finirai fuori strada. Seguilo, la soluzione al mistero arriverà e sarà un vero dispiacere, una piccola morte, leggere le ultime righe e l’ultimo punto di questa storia, per moltissimi inenarrabile.

Solomon Gursky was here, Mordecai Richler, 1989
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